Check Podcast # 6 - Tiresia di Silvia Pelizzari
Pubblicato sul numero di marzo 2022 di Style Magazine. Intervista integrale all'autrice del podcast
Intervista integrale a Silvia Pelizzari
Partiamo dal titolo: Tiresia. Il mito di Tiresia è cieco, forse perché gli dèi perché non volevano che discutesse di certi argomenti o forse perché durante una camminata vide due serpenti che si stavano azzuffando e decise di ucciderne uno, la femmina. In quell’istante Tiresia da uomo diventò donna. È questo il significato che associ al termine Queer e che vuoi approfondire nel podcast?
Cercavo un titolo e mi piaceva Orlando, in onore di Virginia Woolf, ma era già stato usato. Volevo una parola che raccontasse di per sé una storia e in quel periodo avevo letto Arcipelago N di Vittorio Lingiardi e Resta te stessa di Kae Tempest, entrambi libri in cui Tiresia veniva molto citato. Il fatto che Tiresia, con il suo mito, avesse attraversato il genere, fosse andato oltre il genere, mi sembrava un buon punto di partenza per poter fare quello che volevo fare. Ma mi sembrava fosse troppo complicato da spiegare e contestualizzare a chi mi avrebbe ascoltata. Quando durante una riunione con il gruppo di lavoro di Emons, qualcuno domandò “perché non lo chiamiamo Tiresia?” ho capito che era il titolo giusto.
Queer è un termine inglese, legato alla sessualità sì, ma con l’intenzione di essere più “trasversale”. Anche se in origine indicava “uomini gay effemminati”. Oggi come viene percepito a tuo avviso dalla gente che magari non ne conosce il termine in modo chiaro?
Volevo fare un podcast che parlasse di libri e che parlasse di libri in cui c’erano identità e relazioni queer. Un podcast divulgativo, per tutti, che approfondisse certi nomi per chi li conosceva già e ne facesse scoprire altri a chi ne fosse all’oscuro. Poi diverse persone attorno a me mi chiedevano “ma in che senso Queer, che significa?” e mi sono accorta che una parola per me di uso comune era per molti sconosciuta.
È una parola che ha e ha avuto moltissime accezioni e ha cambiato molti significati e sfumature nel corso dei decenni, quindi non so dirti in che modo venga percepito in generale oggi, credo dipenda dalle singole comunità, dalle singole persone, dai singoli contesti, ma posso dirti come volevo parlarne io: come un termine trasversale, appunto, un termine cappello che che raccogliesse sotto di sé più cose, e che si liberasse di un’interpretazione prettamente binaria.
Oggi cosa indica il termine queer in letteratura e non solo?
Come dicevo prima, queer significa moltissime cose e ha molte accezioni. In generale è un termine che si usa quando si vuole definire una rottura con la norma eterosessuale e ha in qualche modo sostituito le parole gay, lesbica, transessuale, omosessuale, ecc. Per quanto riguarda la diffusione, credo vada fatta una distinzione tra Italia e resto del mondo. Forse è un’impressione mia, ma fuori dai nostri confini mi sembra che le storie queer siano molto più presenti sul mercato editoriale.
Nelle librerie italiane finiscono molti di questi libri, importati e tradotti dall’estero, ma mi pare ci siano meno storie scritte da autrici e autori italiani. In generale, è vero che negli ultimi anni c’è stato un interesse più ampio e se ne è parlato di più. Oltre a case editrici specializzate e indipendenti, che da sempre mettono al centro della loro linea editoriale questi temi, mi sembra che anche editori più grandi abbiano iniziato ad allargare il loro orizzonte, sia in termini di saggi, sia in termini di narrativa. Qualcosa si è mosso e si sta muovendo.
Parlando sempre di letteratura Queer, come ti sei avvicinata a questo genere? Certi libri o racconti erano semplicemente vietati, boicottati, nascosti? Per paura?
Da diversi anni leggevo e ricercavo libri che parlassero di identità, sessualità e relazioni queer e ho pensato che usarlo come filo rosso per parlare di autrici e autori e di libri fosse un buon modo per far conoscere queste storie. È un tema che esiste da sempre, certo non è un tema nuovo, quello che semmai è cambiato è il modo in cui se ne parla, la visibilità che queste storie hanno sul mercato, la loro diffusione da parte delle case editrici, il modo in cui le autrici e gli autori ne scrivono: un libro come quello di Carmen Maria Machado sugli abusi nelle relazioni tra donne non sarebbe mai stato scritto sessant’anni fa, o sicuramente non sarebbe stato scritto in quel modo.
È una questione culturale, che ha a che fare anche con l’evolversi e il modificarsi di una società, delle persone che leggono, del modo in cui queste persone leggono e scavano nelle storie, dei temi che desiderano leggere. Quando io ero bambina o ragazzina non ricordo libri che trattassero storie omo-bi-transessuali, e se esistevano, tra le mie mani non sono mai arrivati. Oggi i libri “young adult” trattano la fluidità di genere e la sessualità e lo fanno in modo aperto e senza troppi tabù. C’è ancora moltissimo da fare, ma le cose siano cambiate rispetto per esempio alla mia generazione.
Come hai scelto scrittori e scrittrici delle otto puntate? Qualcuno più di altri ha significato qualcosa nella tua vita, un momento di crescita o apertura verso qualcosa di cui non eri consapevole o magari anche solo un maggiore senso di libertà?
Ogni scelta è una rinuncia e quando ho preso un foglio per decidere gli otto nomi sapevo che in qualche modo avrei dovuto sacrificare qualcosa. Ho cercato di evitare classici di cui si era già parlato tantissimo, dando spazio a nomi sì noti ma anche a nomi più nuovi, a personaggi più maturi e ad altri che si stanno affacciando o si sono affacciati da poco sulla scena letteraria. Sapevo che avrei messo Tondelli, uno scrittore che amo moltissimo e sapevo di voler assolutamente parlare di Leduc, un’autrice francese ancora poco conosciuta in Italia ma con una storia incredibile.
Mi piaceva l’idea di parlare di un giovane autore come Louis e di un personaggio affascinante e meno noto come Lemebel; insomma piano piano si è delineato un filo che ha toccato più paesi, più livelli di fama, più livelli di maturità. E quando ho capito che alcuni nomi sarebbero rimasti fuori ho cercato di dare un senso e precise motivazioni ai nomi che invece erano alla fine scritti su quel foglio. Forse in un paio di casi mi sono un po’ complicata la vita, ma alla fine sono felice delle scelte che ho fatto.
Per caso hai individuato un legame nelle storie degli autori che hai selezionato?
Quasi tutti gli autori e le autrici di cui ho parlato hanno messo sulla carta la loro vita e il loro essere queer in un contesto che non li accettava del tutto. Alcuni lo hanno fatto di più - penso a Winterson e a Louis che parlano in prima persona e si mettono al centro delle storie -; altri magari hanno raccontato di sé attraverso il filtro di altri personaggi - come Tondelli o Isherwood -; e poi ci sono le mosche bianche come Sarah Waters, l’unica autrice degli otto nomi che non parla mai di sé nei suoi libri e fa letteratura di puro intrattenimento, scrivendo romanzi storici.
Per ogni puntata sono partita dal luogo di nascita di ogni autrice o autore, un dato che reputo importante nella vita di ognuno di noi, e ho cercato di raccontare la loro vita e la loro opera, o una parte della loro opera, cercando di mettere in luce gli eventi delle loro esistenze e le loro scelte letterarie.
In ogni puntata c’è anche un ospite. Come li hai scelti e perché li hai voluti affiancare a determinati testi e autori?
Abbiamo pensato che inserire degli interventi esterni desse un po’ di dinamica e di “aria” alla narrazione. In alcuni casi le scelte sono arrivate in maniera naturale durante chiacchierate con amici, come nel caso di Vincenzo Latronico per Isherwood o Matteo B. Bianchi per Louis. In altri casi sono stata consigliata dalle case editrici degli autori e autrici di cui volevo parlare: per Waters, l’ufficio stampa di Ponte alle Grazie mi disse che Chiara Valerio una volta l'aveva presentata in Italia; oppure Barbara Leda Kenny, che è una gender expert, aveva avuto delle conversazioni con Machado, quindi tramite Codice edizioni sono entrata in contatto.
Gli ospiti non leggono testi ma mi danno una loro visione di quell’autrice o di quell’autore, alcuni raccontando aneddoti, altri quali libri hanno amato di più, altri ancora raccontano in che modo quelle storie hanno contribuito alla loro formazione. Volevo che raccontassero un nome a partire dal loro essere lettori e lettrici, prima che scrittori, critici o editor.
Credi che la letteratura queer abbia subito spesso una ghettizzazione o un giudizio affrettato da parte di critici o lettori?
Penso anche al classico dualismo sesso e religione che troviamo spesso anche nel testo di Jeanette Winterson già nel suo romanzo di debutto Non ci sono solo le arance. E come lei tanti altri… c’è una correlazione a tuo avviso? Oltre al sesso spesso c’è una componente di violenza subita…
Credo che ogni libro abbia una sua storia, è quindi difficile generalizzare e parlare per tutti i libri e tutta una certa letteratura. Di sicuro libri come Altri libertini sono stati censurati e tolti dal mercato per un periodo di tempo, nemmeno troppi anni fa. Anche Thérèse e Isabelle, di Violette Leduc, ha subìto la mannaia di Gallimard, che reputava il libro - erano gli anni 50 - troppo scandaloso e audace, troppo scabroso nel parlare di sesso tra due donne, e che solo negli anni 2000 ha visto la luce in una versione totale. E di sicuro ci sono meno libri queer pubblicati rispetto ad altri tipi di storie. Credo la cosa riguardi da un lato le scelte delle case editrici e dall’altro il pubblico e il suo gusto. Credo però che il gusto di un pubblico sia anche conseguenza delle scelte editoriali; insomma è un cane che si morde la coda.