Corpi liberi, il podcast del mese di ottobre
Nuovo approfondimento nella mia rubrica check podcast pubblicato sul numero di ottobre 2022 di Style Magazine (Corriere della Sera)
L’intervista completa a Silvia Ranfagni.
In quale punto del percorso di Alba/Alex - e anche del suo-, ha deciso di scrivere il podcast Corpi Liberi?
La decisione di fare un podcast è nata sei mesi dopo il coming out: informazioni da internet e libri non mi erano stati sufficienti a capire fino in fondo il percorso che Alex stava facendo ormai da cinque mesi e mezzo al Saifip. Mi ero sempre considerata una “progressista” e mi sono domandata quanto dovesse essere difficile in generale comprendere e accogliere la realtà di Alex. Sentivo il bisogno di fare qualcosa.
Il podcast è divenuto uno strumento per “guardarsi” dentro in relazione ai fatti che stavano accadendo nella sua vita? Un modo per mettere dei punti fermi?
Assolutamente sì, chi scrive lo sa bene: la scrittura è un processo per afferrare le cose, cercare risposte e spesso anche per incanalare l’ansia, come in questo caso.
Qual è stata la reazione di Alex quando gli ha comunicato l’intenzione di raccontare la vostra storia…? È stato d’accordo fin da subito?
Alex si è detto d’accordo immediatamente. Al tempo gli avevo spiegato che raccontare la storia dal mio punto di vista, cioè di qualcuno che stentava a capire, avrebbe parlato ad altri come me e diffuso conoscenza proprio là dove mancava.
Nel frattempo Alex ha compito 15 anni: il nostro rapporto si è fatto più complicato e in mezzo c’è stata anche la separazione tra me e il padre. Molte cose sono cambiate: Alex non ha mai voluto leggere le puntate in corso d’opera e non ha ancora ascoltato il podcast.
Parlando di Mark e della sua famiglia: come hanno accolto la sua presenza prima e l’idea delle registrazioni per il podcast poi?
Per la parte documentaristica mi sentivo sicura di avere a fianco un regista di esperienza come Giovanni Piperno ed è stato Giovanni a spalleggiare la scelta di Mark, un ragazzo apparentemente molto introverso, che scriveva ma parlava molto poco – e la cosa rendeva l’impresa del podcast difficile.
Sia Mark che la sua famiglia hanno capito l’intenzione del progetto, ma non tutti allo stesso momento. La mamma di Mark, Titti, e la nonna erano reticenti inizialmente, ma per fortuna hanno accettato: le loro voci sono state fondamentali.
All’inizio del podcast lei racconta come sua figlia ad un certo punto le comunica di sentirsi “altro” rispetto al corpo biologico: prima di quel momento parole come trans e non binario e disforia, dove erano collocate nella sua vita quotidiana o nel suo “dizionario” per così dire?
Ero molto ignorante in materia, molto: intanto la parola “trans” mi evocava realtà sociali emarginate - quando il motivo dell’emarginazione è proprio il rifiuto da parte della famiglia di origine, con tutte le difficoltà conseguenti. Non avevo mai sentito la parola “disforia” e leggendo la definizione non ne afferravo il senso; lo stesso dicasi per il termine “non binario” su cui avevo letto qualcosa, ma senza capire. Per capire occorre una bella dose di empatia. Le definizioni non bastano.
Il percorso di questo “corpo libero” è sia di Alex sia suo: cercare di capire il figlio che ha. Ci sono state delle domande o magari un colloquio specifico avvenuto al SAIFIP dell’Ospedale San Camillo Forlanini che l’ha messa in discussione come donna e come madre?
Tutti i colloqui mi hanno messo in discussione, tutti, ma sentirsi dire dalla dottoressa Mosconi che Alex aveva spesso fantasie suicidarie e non essermene mai accorta ha fatto bingo in questo senso.
Come ha deciso di fare questo passo direi decisivo con il Servizio Adeguamento Identità Fisica con Identità Psichica (SAIFIP)? Immagino che non sia stato facile anche solo decidere di andare là per la prima volta o alzare il telefono per prendere appuntamento…
In realtà desideravo andare da qualcuno che ci capisse qualcosa! Dopo il coming out avevo fatto le mie ricerche e nel giro di due settimane ero al Saifip, ma segretamente convinta che portandoci Alex me lo avrebbero restituito a breve dicendomi <<Ecco qua, signora, tutto sistemato: ora la disforia non c’è più>>, come se il Saifip fosse un’efficiente lavanderia con una camicetta macchiata. L’ho già detto: non ci capivo niente.
L’incontro con Mark diventa la chiave per capire il mondo di suo figlio Alex, non più figlia. Cosa le ha dato un teenager che in quel momento altre figure professionali non potevano darle?
Alex di disforia non ne voleva parlare perché veniva preso da attacchi di ansia. Mark è stato il veicolo per accedere a una realtà che non è descrivibile con tecnicismi, quella interiore.
Invece dal confronto con la famiglia di Mark e del viaggio in Sicilia cosa le ha permesso di capire? Ci sono stati confronti e paure e dubbi in cui si è trovata “sollevata” e accumunata?
Per me l’incontro con Titti, la mamma di Mark, è stato fondamentale. Un po’ come nei gruppi di auto aiuto: specchiarsi negli altri, aiuta a vedersi e le paure di Titti erano anche le mie, solo gestite diversamente.
La famiglia di Mark le ha dato alcuni suggerimenti cui non aveva pensato in precedenza?
Mi ha solo confermato che accogliere la realtà del figlio è un po’ tutta la questione. Non ci sono altri consigli.
Quello che ho recepito ad un certo punto della storia è che la famiglia, quindi lei, il padre e tutti i parenti volendo bene ad Alex avete cercando - e state cercando- di “lavorare” insieme per il suo bene. Il problema è il mondo fuori, le aggressioni verbali, che fanno parte di un retaggio culturale difficile da estinguere. Come la storia che emerge nel podcast legata alla parrucchiera e al dover avere i capelli maschio/femmina, quindi gli stereotipi sui ruoli di genere… come vede questa situazione?
Alcune femministe americane sostengono che l’impennata di non binarismo tra le femmine biologiche sia un modo per saltare a piè pari le limitazioni che essere femmina comporta: in altre parole identificarsi in un genere ancora vessato da molti stereotipi e aspettative sembra una fregatura, basti pensare a l’idea ipersessualizzata del femminile che oggi impera. Per quanto riguarda invece le aggressioni omofobe o transfobiche il percorso fatto negli ultimi anni indica la strada della tolleranza come futuro.
Alex ha un fidanzato e forse a dispetto di quello che la società vuole o crede giusto per una persona, il volere bene a qualcuno a prescindere dal corpo è l’unica cosa che importa. Come sta vivendo come madre il rapporto con il fidanzato di Alex?
Beh, credo che amarsi prescinda dal genere e sia comunque qualcosa di personale, che sfugge a classificazioni. Alex è ancora molto, molto giovane e non prendo molto sul serio questo fidanzamento.
In questo continuo aggiornarsi - diciamo così-, sulla questione non binaria mi chiedo se ha riflettuto e ripensato a persone della sua generazione (come dice Alex) che magari ha conosciuto nella sua vita che non hanno avuto la possibilità di essere quello che volevano a causa della società e della famiglia e che hanno con molta probabilità vissuto con sofferenza la loro identità?
Bella domanda, tuttavia la risposta sarebbe molto articolata e cerco di sintetizzare: io stessa ho avuto molti problemi ad identificarmi con il mio corpo. La parola “disforia” nemmeno esisteva, come non esisteva la possibilità di darsi un’identità diversa dalla propria biologia.
Se fossi stata di questa generazione una nuova identità mi avrebbe evitato molti anni bui. Non potevo farlo e solo dopo i trentacinque anni sono riuscita ad accettarmi. Il rischio del presente è l’assenza di un limite.