Golpe - 50 anni di Cile, il podcast sul Colpo di Stato dell'11 settembre 1973
Pubblicato nella rubrica Check Podcast nel numero di novembre 2023 di Style Magazine (Corriere della Sera) - Intervista completa all'autore Ludovico Manzoni
Intervista completa a Ludovico Manzoni
Nel 2018 hai studiato in Cile, per quanto tempo sei rimasto lì e cosa sapevi del Paese e della sua dittatura, come del Golpe e della morte di Allende, prima di vivere in prima persona quelle atmosfere?
Sono stato in Cile per 6 mesi, nel 2018, nell'ambito di uno scambio universitario. E' un'esperienza che mi ha affascinato molto, conoscevo la storia del Cile e proprio questo mi aveva spinto a scegliere il paese, volevo approfondirla, vivere il Cile anche dal punto di vista politico e sociale.
Una volta in Cile, in cosa ti sei ricreduto iniziando a comprendere meglio sia il Paese nella sua quotidianità sia i cileni stessi…? Cliché e, invece, scoperte…?
Innanzitutto, fa un freddo becco, pensavo di andare al caldo a Viña del Mar, e invece mi sono ritrovato a luglio (li è inverno) col piumone e la nebbia (risata). Tornando seri da fuori si potrebbe avere un’immagine del Cile, come un paese arretrato, magari rurale, e invece, è un paese ricco, le città sono sviluppatissime. Santiago è una megalopoli da sette milioni di abitanti. Però questa ricchezza è mal distribuita, si nota subito anche una povertà evidente e delle grandi contraddizioni.
Quali sono le maggiori contraddizioni che hai vissuto anche tu da italiano?
Il Cile è un paese ricco ma neoliberista, con enormi disuguaglianze, dove il retaggio degli anni di Pinochet non è mai finito: la sanità è privata, il sistema pensionistico è completamente privato, l’istruzione universitaria è per la gran parte privata, molti settori strategici sono in mano ad oligopoli di aziende straniere: i supermercati, le farmacie, le telecomunicazioni.
Il salario minimo è inferiore ai 400 euro mensili, la pensione minima ai 150 euro. Io una volta sono finito in ospedale, e non mi reggevo in piedi, pur avendo l’assicurazione sanitaria. Per farmi ricoverare ho dovuto dargli la carta di credito, un’esperienza che non raccomanderei a nessuno.
Il podcast è suddiviso in cinque puntate: come hai scelto di narrare la storia e che obiettivo ti eri dato nel voler realizzare questo racconto storico in formato audio?
Volevo rendere accessibile a tutti una storia lunga e complicata, sono partito dalle interviste, le testimonianze di chi ha vissuto direttamente le vicende cilene per me sono la cosa più importante, poi a partire da quelle ho scritto le puntate “attorno”.
Come hai lavorato in merito alla scelta dei materiali sonori? C’è qualcosa che non sei riuscito ad inserire ma avresti voluto? O interviste a cui non sei riuscito a dare voce?
Su questo è stata molto d’aiuto l’ottima produzione, io come unica indicazione volevo includere più canzoni cilene possibile. Per riassumere una storia cosi grande in 5 puntate, e renderla accessibile, devi sempre tagliare, limare, ridurre. Sicuramente ho raccolto testimonianze molto più estese di ciò che abbiamo pubblicato, ma in definitiva sono molto soddisfatto della sintesi a cui siamo arrivati.
Su cosa ti hanno fatto riflettere gli ospiti del podcast? Tra le voci compare quella del gruppo musicale degli Inti-Illimani che discutono del Fronte Popolare, c’è Rodrigo Rivas, alcuni giornalisti, giovani attivisti e diplomatici: potresti scrivermi alcune riflessioni che ti hanno colpito?
Ci sono delle testimonianze pazzesche, uniche, Rodrigo Rivas, che era un dirigente apicale nella politica cilena mi ha raccontato della notte prima del Golpe, erano con Allende e lui era convinto che l’esercito si sarebbe opposto, difendendo la democrazia, addirittura Allende il 10 settembre congeda il gli altri dirigenti dicendo “e ora lasciatemi, devo parlare col mio amico, il generale Augusto Pinochet”. Come raccontano loro, un tradimento pazzesco.
In questi confronti, cosa hai riscontrato pensando all’Italia e al Cile, si assomigliano in qualche modo?
Si, storicamente la politica italiana e quella cilena hanno avuto dei punti in comune, soprattutto durante la prima repubblica, anche li c’erano il partito Socialista, il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana e avevano profondi rapporti con i nostri corrispettivi italiani.
L’altro tratto comune è la passione smodata per il calcio, a un certo punto sono andato a vedere il derby di Santiago, Colo Colo vs Universidad de Chile, a un certo punto i tifosi ospiti han dato fuoco allo stadio…
Abbiamo avuto un “nostro” Allende a tuo avviso… come visione, coraggio…?
No, Allende è una figura unica, per la forza e la coerenza del suo sogno, e il tentativo epocale di trasformare un paese, e per come questo tentativo sia stato represso nel sangue dai poteri economici e militari. Se dovessi tracciare un parallelo con la politica italiana, paragonerei Elly Schlein con Gabriel Boric (Il Presidente del Cile oggi).
Entrambi giovani, progressisti, radicali, al di fuori dalle vecchie logiche partitiche, eletti grazie a un grande sostegno popolare. Il Governo Boric è un esperimento molto interessante, un tentativo di saldare la “vecchia” sinistra più istituzionale con quella “nuova” più movimentista. Vedremo come finirà.
Hai avuto la possibilità di incontrare anche la figlia di Allende, Isabel. Che “ritratto” del padre ti ha lasciato? Come uomo e politico: c’è un punto in comune tra le due figure?
Mi ha lasciato un ritratto di grande umanità di un uomo sobrio, che anche da presidente viveva in modo semplice. Isabel come il Padre è stata un’esponente di primo piano del Partido Socialista e della vita politica cilena. È stata Presidente della Camera, del Senato e del Partito e rimane tutt’oggi senatrice.
Hai potuto vedere la sede del Partito Socialista del Cile a Valparaíso, che effetto ti ha fatto?
Non solo l’ho vista, ma per tutto il mio periodo in Cile li ho fatto militanza politica, assomiglia a un vecchio centro sociale abbandonato, molto scalcagnata, in certe parti c’erano buche nel soffitto o nel pavimento, però resiste, 100 anni dopo.
Di fronte alla sede c’è un grosso murales, che raffigura Salvador Allende. L’avevano vandalizzato, noi l’abbiamo ridipinto. Oggi è ancora li.
Luoghi in cui Allende e Pinochet hanno fatto la storia del Cile. Due figure contrapposte, sapresti “ridurre” ad un pensiero il motivo che muoveva la politica di Pinochet e quella di Allende. Che non è solo politica, ma anche un modo di essere e vivere la vita… a mio avviso. Che ne pensi?
Il sogno di Allende, il suo tentativo di riformare il paese, resta un esperimento unico. Democratico in un continente e in un’epoca tendente alle pulsioni autoritarie. Autonomo, in un paese indissolubilmente legato agli Stati Uniti. Socialista, in uno stato liberista. È stato un laboratorio di socialismo e democrazia. E così è stata la dittatura di Pinochet: un laboratorio di liberismo selvaggio e violenza repressiva che ha contagiato anche il resto del Sudamerica.
Di Allende ancora ricordiamo la dignità con cui ha affrontato il golpe e la fine della democrazia, citando la canzone di Fausto Amodei, ci ha insegnato che vero presidente popolar muore ma non s'arrende. A Pinochet, sempre restando sulla citazione musicale, anche da vivo era concesso, di esser carogna lo stesso.
Tu hai rifondato l’associazione giovanile: mi parli di questa esperienza e del luogo in cui eravate, dei ritagli di giornale che citi di aver trovato. Come mai nasce in te questa forte passione del Cile?
Si, eravamo in 5, in una stanzetta umida, abbiamo ricostruito la Juventude Socialista a Valparaiso, dopo anni di inattività, nella stessa sezione in cui quasi 100 anni prima militava Salvador Allende. Discutevamo, andavamo a manifestare assieme quasi tutte le settimane, partecipavamo alla vita del partito. Mi ricordo che in quella stanzetta appena entravi vedevi un ritaglio di giornale con scritto “Fuera Los Yankis de America Latina”. Il dolore del golpe rimane ancora oggi, non hanno perdonato gli americani.
Il Cile è un paese stupendo, ci sono andato con tante speranze ma sapendone relativamente poco e me ne sono innamorato. È un paese con mille diversità e contraddizioni, dove puoi vedere luoghi unici e completamente diversi tra loro, dal Deserto di Atacama a Nord, alla Patagonia a Sud. Conoscere l’Isola di Pasqua e i suoi abitanti, visitare la Valle de Elqui e guardare le stelle. Ma soprattutto le persone, il contesto sociale, ti fanno appassionare, quando ci vivevo mi è entrato nel cuore, ed è rimasto li.
La privatizzazione è una morsa stringente in Cile ancora oggi: cosa è cambiato se è cambiato qualcosa da quell’11 settembre del 1973.
Le ferite del Golpe non si sono ancora rimarginate. 50 anni dopo il Cile resta ancora un paese profondamente condizionato da quel momento, e dai 17 anni di dittatura seguente. Pinochet è stato deposto nel 1990, con un pacifico referendum, i danni che ha fatto al paese ancora restano.
Un’estrema applicazione delle teorie neoliberiste ha portato a privatizzazioni selvagge, un gap tra ricchi e poveri immenso, e un sistema che si regge sulla ricchezza privata e la scarsità di risorse pubbliche. Molto è rimasto come prima, il governo Socialista di Michelle Bachelet ha rimediato a qualche danno, rendendo più accessibile l’educazione, ma non basta. Una cosa è certa oggi: il Cile ha voglia di Cambiare.
La storia del Cile è anche la storia di un’America che era presente come un fantasma, ne parla Jaime, in parte citando pure la CIA. Sabotaggi di ogni sorta quindi, come racconta Rivas…
Nel 1970, Siamo in piena guerra fredda e gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di lasciare che un paese dell’America Latina esca dalla sfera di influenza americana, perdipiù con il rischio di avvicinarsi all’orbita sovietica. Già da subito provano a far saltare l’elezione di Allende, per poi finanziare tentativi di sabotaggio e destabilizzazione durante tutto il suo mandato.
Nel 1973, quando diventa chiaro che non sarebbe stato possibile sconfiggere democraticamente Allende e il suo governo, gli Stati Uniti del presidente Richard Nixon, consigliato da Henry Kissinger, decidono di passare alla violenza, ed è da li che parte il Golpe.