Intrecci etici, il podcast sulla moda etica e sostenibile
Pubblicato nella rubrica Check Podcast del numero di ottobre 2023 di Style Magazine (Corriere della Sera) - Intervista alla co-autrice e voce del podcast Sara Zampollo
Intervista completa a Sara Zampollo
Vorrei iniziare chiedendoti il motivo dietro la nascita di questo podcast; hai sempre avuto a cuore queste tematiche?
Non ho sempre avuto a cuore questi temi, ma sicuramente guardare “The True Cost”, un documentario che tratta dell’impatto della moda sull’ambiente e sulle persone per me è stato fondamentale per iniziare a rendermi conto del problema.
Per qualche anno ho vissuto e lavorato in Francia, dove il tema della sostenibilità della moda era molto più sentito rispetto all’Italia, per cui alla fine del mio percorso di studi ho elaborato una tesi di laurea focalizzata sul modo in cui i brand comunicano la sostenibilità nel mondo della moda, dal momento che mi ero appassionata a questi temi.
Ricordi cosa ti ha spinto ad addentrarti sempre più a fondo in questa ricerca, perché di ricerca possiamo parlare, giusto?
Nelle ricerche per la mia tesi in Francia mi sono focalizzata sul mercato francese e, quando per curiosità ho cercato se e come questi temi venivano affrontati in Italia, ho scoperto che in Italia se ne parlava molto meno. Il termine “sostenibilità” nella moda rimandava a un immaginario di vestiti poco appetibili e sciatti, non sembrava cool parlare di diritti dei lavoratori, chiedersi come e dove erano realizzati i propri vestiti, e soprattutto da chi.
Questo mi ha portata a leggere, informarmi e studiare per capirne sempre di più per poi cercare di capire come questi temi potessero diventare un po’ accattivanti e interessanti per gli altri.
Il podcast è frutto anche di un documentario: cosa li unisce e come li divide, o meglio come si completano, se lo fanno?
Il documentario è nato dal lavoro di Lucia Mauri e Lorenzo Malavolta, registi e filmmaker di LUMA video e finanziato attraverso un crowdfunding Produzioni dal Basso. Pubblicato a gennaio
Per via della breve durata del documentario, rimanevano molti argomenti legati al macrotema della moda sostenibile da approfondire. Per questo sono subentrata nel progetto a documentario pubblicato, per portare avanti la discussione già iniziata con il documentario sulle tematiche legate alla slow fashion e approfondire alcuni argomenti con persone del settore.
Lucia Mauri e Lorenzo Malavolta i registi
Come sono stati scelti i temi di cui si parla nel podcast e cosa prevedeva la fase di scrittura?
Il podcast è stato un lavoro a sei mani: insieme a Lucia e Lorenzo abbiamo iniziato a ragionare sugli ospiti partendo da alcune persone che erano stati invitate a far parte del documentario ma che non erano riuscite a partecipare, per poi passare ad altre proposte che abbiamo valutato insieme.
Soprattutto all’inizio, siamo partiti dai temi che volevamo affrontare per esplorare tutte le sfaccettature della moda sostenibile e abbiamo cercato delle persone che potessero rappresentare e raccontarci quell’argomento. Nel documentario si era parlato della ricerca delle materie prime, di artigianato, di sartoria, greenwashing, vintage, per cui è stato abbastanza naturale continuare appunto la conversazione su quei temi ma cercare allo stesso tempo di affrontarne di nuovi, come l’upcycling o le tinture naturali.
La fase di scrittura è stata preceduta da una ricerca approfondita sul tema trattato e sulla persona, l’ascolto di podcast in cui le persone erano già state intervistate o la lettura dei libri che avevano scritto, come nel caso di Orsola de Castro. Dal momento che esistono già altri podcast sul tema che affrontano l’argomento in modo tecnico o dal punto di vista delle aziende abbiamo voluto differenziarci cercando di far parlare gli ospiti soprattutto del proprio percorso e del motivo per cui erano arrivati a occuparsi di moda sostenibile, cercando di conoscere l’umano dietro a un progetto. Agli ospiti davamo solo un’indicazione di massima dei temi e delle domande che avrei fatto per cercare quanto più possibile un’interazione spontanea e rilassata.
Guida al cambiamento: moda sostenibile. Dentro c’è un mondo, pieno di sfaccettature. Sapresti indicarmi se ci sono dei punti comuni che la moda sostenibile dovrebbe sempre tenere in considerazione, imprescindibilmente da tutto?
Penso che le prime cose da considerare siano i diritti dei lavoratori e il pagamento di un giusto compenso: un costo irrisorio per un capo d’abbigliamento dovrebbe sempre essere un campanello d’allarme. Su alcuni e-commerce di fast fashion si trovano vestiti a 5€. Come può essere possibile che in questa cifra vengano inclusi materiali, costi di produzione, packaging, profitto del brand?
Anche l’approccio al proprio guardaroba sia fondamentale: è inutile continuare a riempirci gli armadi di vestiti che non useremo più di 5 o 6 volte, e cambiare i brand da cui acquistiamo non basta. In questo penso che maggiore consapevolezza di cosa ci piace, dei materiali che indossiamo e di come vengono prodotti i nostri capi siano d’aiuto per iniziare a ridurre i capi che entrano nel nostro armadio e a usare di più tutto quello che possediamo. Comprare una montagna di vestiti prodotti eticamente e con materiali certificati non serve a molto se continuiamo ad avere una mentalità usa e getta con i nostri vestiti.
Nell’ascolto ho come la sensazione che ci sia una specie di “elefante nella stanza” ovvero il lascito delle big company di moda negli ultimi… 20 anni?
Qui si apre un tema lunghissimo e complesso e non credo di avere tutti i mezzi e le conoscenze per spiegare tutto quello che è successo negli ultimi 20 anni, non vorrei banalizzare il discorso.
Tra gli ospiti che hai intervistato c’è stato qualcuno che ti ha mostrato un nuovo punto di vista a cui non avevi pensato in precedenza? Se sì, chi e cosa ti ha detto… Più che mostrarmi nuovi punti di vista ci sono stati ospiti che mi hanno aperto a mondi che non conoscevo, come nel caso della puntata sui gioielli etici di Maraismara.
Com’è la situazione in Italia delle aziende sostenibili? La direzione è verso la consapevolezza delle risorse?
Stiamo sicuramente andando verso un cambiamento in positivo e la Strategia dell'UE in materia di prodotti tessili sostenibili adottata di recente avrà sicuramente un impatto enorme in questo senso. L’obiettivo è che “Entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell'UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura costituiti da fibre riciclate, privi di sostanze pericolose e prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell'ambiente”.
Si parla inoltre di responsabilità estesa del produttore, per cui le aziende saranno responsabili dei capi anche a fine vita. Purtroppo non ne abbiamo parlato nel podcast perché sono notizie molto recenti.
A proposito delle aziende “classiche”, quelle big, si stanno ravvedendo e come?
Anche in questo caso, la Strategia dell’UE mira ad accellerare la transizione ecologica delle aziende, evitare il greenwashing e riesaminare le certificazioni esistenti, per cui il cambiamento sarà un passaggio obbligato nei prossimi anni.
Mi collego alla domanda precedente: credi che lo stiano facendo perché il mercato sta andando nella direzione opposta rispetto al FAST FASHION?
Penso sia difficile trovare una risposta a questa domanda, rischierei di banalizzare l’argomento e ridurne la complessità. Quello che credo è che per quanto in questo momento si veda un interesse maggiore nella sostenibilità, se le aziende continuassero a produrre capi low cost, di bassa qualità e poco durevoli troverebbero clienti disposti ad acquistarli, è difficile cambiare le abitudini di acquisto delle persone.
Quindi credo lo stiano facendo sia per adeguarsi alle nuove norme e sia perché nei prossimi anni probabilmente i consumatori diventeranno lentamente sempre più attenti a questi aspetti.
In fin dei conti sbaglio nel dire che certe aziende hanno creato loro stesse il problema portando agli occhi di chi compra il concetto di fast fashion come una consuetudine per l’acquisto?
Penso che a un certo punto sia diventato la norma perché per un consumatore sembra molto più conveniente: a chi non piace spendere meno e avere più vestiti? Questo però ha indotto anche i consumatori a farsi risucchiare dallo shopping impulsivo, ad acquisti dettati solo da trend passeggeri o dall’influencer di turno, quindi la penso come te!
Cosa mi dici del Manifesto per la Moda Responsabile? In che modo ne fai parte?
In realtà non ne faccio parte attivamente ma appena ho saputo del progetto ne ho parlato alla mia piccola community per supportare il Movimento. Conosco la maggior parte delle persone che ne fanno parte e sono felice che si sia creato un gruppo così competente e variegato per condividere idee, progetti e pratiche virtuose!