Steve Albini, l'intervista: dai Nirvana a Loredana Berté, senza parlare dei Nirvana...o quasi.
Intervista a Steve Albini dopo il concerto degli Shellac all'Estragon a Bologna nel lontano 8 ottobre 2010. Operazione nostalgia, vero. Ma ricordare Steve Albini è già un dovere
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C’è stato un tempo in cui mi ero messo in testa di fare parte del «favoloso» mondo delle fanzine cartacee, quindi autoprodotte, quindi fotocopiate e quindi «pinzate» a mano; Do it yourself all’ennesima potenza e che era l’unico modo per scrivere di musica. Altrimenti nessuno lo avrebbe fatto al posto mio. Battezzato come: Youthless Fanzine, nome scelto dopo aver letto un articolo su Rumore in merito a Beck, tutto era pronto.
Anno 2006, quindi. Ero a Reggio Emilia - e lo sono tutt’ora- e forse lo sarò fino alla fine dei miei giorni, iniziai a scrivere il primo numero di questa «cosa» chiamata Youthless Fanzine intervistando 4 o 5 gruppi locali, stampandola in 30 o 40 copie formato A4 e distribuita in vari negozi e biblioteche. Chissà se per questa faccenda, nel 2010, quando incontrati Steve Albini fu motivo dell’acconsentire all’intervista qui sotto per una non meglio identificata fantine italiana.
Perché non era solo un musicista e uno dei produttori più controversi della scena alternativa, era stato anche un giornalista musicale e vantava un passato anche nell’editoria indipendente per aver gravitato nel circuito delle ‘zine americane. Una proposta filtrata da Sergio Carlini, chitarrista dei Three Second Kiss, che avevo intervistato qualche anno prima e che ovviamente ci mise una buona parola.
La sera del concerto ricordo che non avevo la macchina per andare a Bologna: una specie di versione alternativa della legge di Murphy rapportata alla musica dal vivo. Perché avevo gli accrediti per vedere gli Shellac di Albini e intervistarlo (anche se non era certo:«dopo il concerto fatti trovare sotto le transenne», un codice carbonaro, un segreto da custodire e che mi piacque nonostante l’incertezza di realizzare o meno la cosa), ma non il mezzo per arrivare a destinazione.
Il piano doveva essere quello di andarci con due amici che alle 19.00 pensarono bene di informarmi che non ne avevano mezza di vedere il concerto con me. Come Enzo di Un Sacco Bello - che a Ferragosto si mette a chiamare chiunque nella sua rubrica telefonica pur di non restare a casa da solo-, arrivò in mio soccorso il «solare» Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut che mi disse:«Ma sì, dai. Andiamoci. Ti accompagno io».
Ora: cosa c'entra Loredana Berté? La scena è questa: sono al concerto degli Shellac, ho in tasca il mio fogliettino con le domande in inglese trascritto per farmi coraggio e ovviamente domande tradotte per sicurezza dalla Lorena. Poi la voce tremolante, il controllo ossessivo-compulsivo del mio «registratorino» digitale che guardavo in continuazione pensando:«Ma starà registrando? Ho schiacciato bene i tasti giusti? Ho fatto Record?». Tutto mentre Steve parlava scrutandomi dai suoi spessi occhiali tondi indossando la tipica «tuta da lavoro» blu scuro.
In quel momento esatto, mentre controllo sempre più ossessivamente il registratore che ho nella mano destra in cerca della bocca sfuggente di Albini, in un gioco di equilibrio con la mano sinistra che armeggia con il foglietto delle domande, provando a tenere a mente l’unica regola che mi ero dato ovvero «non parlare e non chiedere nulla dei Nirvana» ecco, in quell’istante esplode dall’interno dell’Estragon proprio Lei: Non sono una Signora di Loredana Berté.“La fretta del cuore. È già una novità. Che dietro un giornale sta. Cambiando opinioni…”
Insomma ecco l’intervista che fu un un vero e proprio:«…volo a planare di questa vita-balera…»
Ciao Steve, sei tornato in Italia, e mi sembra che ci sia una sorta di rapporto speciale con il nostro paese, sbaglio?
Direi di sì. Abbiamo dei buonissimi amici in Italia, come Agostino e Giovanna dei Bellini e altri di altre band che conosciamo. Veniamo spesso in Italia, ogni volta che possiamo, ogni volta che facciamo un tour in Europa cerchiamo di venire qui.
Mi riferisco anche all’ultimo album del 2007 che porta nel titolo una sorta di omaggio all’Italia, giusto?
Un po'... Il cane si chiama Uffizi, come il museo. E’ un cane famoso, per noi della band è come una specie di rockstar perciò l'abbiamo messo in copertina e abbiamo chiamato il disco come lui. Non è un disco sull'Italia, più che altro è un disco su Uffizi.
Avete realizzato anche un vinile 7” intitolato Agostino. È un tributo agli Uzeda?
Abbiamo scritto questa canzone e mentre la suonavamo abbiamo sentito che è una canzone felice, non c'è un solo momento di tristezza e Agostino è l'unica persona che conosciamo che è così, sempre felice al 100%. Non è mai arrabbiato e quindi gli abbiamo dedicato la canzone.
Visto che siamo una fanzine, parliamo un po’ del tuo passato da giornalista. Nel 1983 hai iniziato con la rivista “Matter”, ti divertiva fare il giornalista?
Non era una cosa professionale, ma da appassionato di musica mi piaceva scrivere di band e dischi. È stata come una qualsiasi altra fanzine: volevo scrivere dei gruppi che mi piacevano, dei gruppi dei miei amici e per farlo avevo questa fanzine.
Cosa c’era che ti attirava del mondo della carta stampata? Come mai ad un certo punto hai smesso?
Sì. Studiavo giornalismo a scuola perché era quello che volevo fare da grande. Per un po' ho lavorato in un giornale e in quel periodo ho deciso che non avrei voluto farlo di mestiere.
Mi sembra che negli anni ottanta le fanzine avessero lo stesso valore e potere (forse anche maggiore) di certe riviste mainstream, è vero?
Per il pubblico erano molto importanti. Le maggiori fanzine come Matter, Trouser Press, Maximum Rock 'n' Roll, Flipside, Conflict, Forced Exposure, erano fondamentali. Internet non era così popolare e quindi erano l'unica fonte di informazioni sulle band che non erano mainstream. Erano fonti di informazioni importantissime. Ora c'è così tanta informazione che le fanzine non sono più così indispensabili, sono più incentrate sull'interesse verso l'autore.
E oggi invece? Abbiamo perso la “battaglia” come fanzine?
Il motivo per cui le fonti scritte sono importanti è che tra 1000 o 500 anni internet non avrà più la stessa mole di informazioni che ha ora, i media elettronici saranno scomparsi, le televisioni e le radio non ci saranno più.
Quindi avere qualcosa di scritto su carta da poter leggere tra 100 anni sarà fondamentale. Dal punto di vista storico è tutto quello che ci sarà, tutto il resto sarà come un fantasma... La scrittura e la stampa quindi sono importantissime. Non credo che faranno la differenza nella vita dell'uomo medio ma dal mio punto di vista, lo stesso che mi faceva apprezzare il giornalismo 20 o 30 anni fa, credo sia essenziale scrivere oggi.
Parlando degli Shellac, la prima traccia di Action Park (del lontano 1994) è MY BLACK ASS, e l’ultima canzone dell’ultimo album del 2007 (Excellent Italian Greyhound) è SPOKE…c’è stato un cambiamento a tuo avviso in questi anni musicalmente parlando?
Andando avanti abbiamo voluto concentrarci su piccoli dettagli nel nostro modo di suonare. Abbiamo delle lunghe conversazioni su argomenti diversi all'interno del gruppo che vanno e vengono. Col tempo le cose cambiano ma siamo sempre la stessa band.
Steve Albini con i Nirvana durante le session di registrazione di In Utero. Minnesota 1993
Te lo chiedo perché spesso i gruppi sostengono che sia sempre necessario evolversi…E io, invece, penso ai Ramones che hanno rifatto praticamente la stessa canzone per trent’anni, ma sempre con la stessa energia…e secondo me funzionava.
I Ramones sono un esempio molto specifico perché per i primi 5 anni più o meno sono stati fantastici, dopodiché si capisce benissimo che era diventato un lavoro. Un obbligo. Non avevano più la passione, ma per i primi 5 anni hanno suonato sempre la stessa canzone ma sempre in modo fantastico.
Non ho niente da ridire a qualcuno che abbia definito il proprio universo e deciso di volerci vivere dentro. Alcuni tra i miei artisti preferiti sono così; per esempio Mark Rothko, un pittore i cui unici soggetti erano aree di tinte piatte. Eppure potrei guardare i suoi dipinti per ore. Apprezzo uno che dice: “Ho delle idee e mi impegnerò a esplorarle in modo completo” perché questo gli permette una totale espressione in quell'area. Se uno si sposta sempre da una cosa all'altra non potrà sviluppare niente in modo serio. Tutto resta superficiale.
C’è un album o un gruppo di quelli con cui hai lavorato come fonico in questi anni che ora proprio non puoi sentire o sopportare? Sia a livello musicale o anche personale…
Diversi, direi. Ma capisci, lavoro tutti i giorni e in un anno faccio 50/100 dischi quindi non mi ricordo tanto di quello che faccio. Magari l'anno prossimo riascolto una cosa che ho fatto l'anno scorso come un'altra persona. I dischi che ricordo non sono per forza quelli che mi sono piaciuti subito dall'inizio del lavoro, ma dischi che riscopro anni dopo. E ce ne sono tanti.
Un mio amico che fa il fonico e che ha uno studio, mi dice sempre che non riascolta mai le registrazioni a lavoro finito, ma aspetta sempre qualche mese o anno…Tu hai qualche rito scaramantico di questo tipo?
No, non ho superstizioni o routine fisse. Di solito lavoro su un disco per un paio di giorni o settimane poi sparisce e entra nel processo di fabbricazione dal quale esce un anno dopo.
Parlando sempre di registrazioni, come ti rapporti a questo lavoro? Voglio dire, hai dei metodi ai quali non rinunci mai per ottenere una buona resa?
Beh... mi affido alla registrazione analogica per lo stesso motivo per cui ritengo la carta stampata importante. Con la registrazione analogica creiamo un master che rimarrà per un lunghissimo periodo di tempo. Perciò le band con cui registro avranno l'opportunità di trovare un pubblico anche tra 50 anni perché la registrazione sopravvivrà fisicamente. Penso che sia una parte importantissima del mio lavoro.
Molti dei gruppi con cui registro non diventeranno mai famosi da vivi, la maggior parte avranno un piccolo pubblico ora e altri nel tempo potranno avere un pubblico più grande e anche rilevanza da parte della critica, ed è fondamentale che la loro registrazione sopravviva. Il primo principio per una registrazione è che non la vuoi cancellare, se registri qualcosa non lo cancelli subito dopo. Per estensione non vorrai riversarlo su un supporto che si cancelli automaticamente. Le registrazioni al computer scompariranno perché il mondo dei computer cambia, l'industria informatica cambia, i software cambiano e alla fine la registrazione digitale diventa inascoltabile e la musica è persa per sempre. Ed è mia responsabilità come professionista è che questo non accada.
Credi che al giorno d’oggi ci sia ancora qualcosa di veramente alternativo, punk rock e puro?
Certo! Stasera abbiamo ascoltato i Bellini che sono un perfetto esempio di punk rock band. Prima di tutto sono amici e secondo suonano. E siccome sono amici la loro musica è bella. Per questo motivo che ero in un gruppo quando ero un ragazzino. Ci piaceva la musica e suonavamo. Parlare di stile musicale punk non significa nulla ma l'atteggiamento del punk delle origini, quelle idee ancora hanno un significato per me.
Internet poteva essere DIY a tuo avviso? Sai io credo che Myspace poteva essere l’inizio di una sorta di liberazione musicale…
Sì, sono d'accordo. La cosa figa, ora come ora, è che qualsiasi gruppo ha accesso a praticamente tutto il mondo fin dal primo momento in cui mette online su Youtube o roba del genere. E questo è un bene. La cosa brutta è che cose come le etichette, i negozi di dischi, gli studi di registrazione, le radio diventano sempre meno importanti. Dal punto di vista culturale la musica si sta svalutando, viene presa meno sul serio dalla cultura predominante. È inevitabile e va bene così. Adesso è il momento migliore per suonare in un gruppo, puoi fare tutto quello che vuoi da solo.
Pensi mai che ci siano alcune bands che ti chiamano per registrare solo per sfruttare il tuo nome e poter dire ai loro amici:”ehi il mio disco l’ha registrato Steve Albini!”?
Sì e no. Non credo che i musicisti pensino in questi termini. Altri sì, come i manager, i giornalisti o quelli della casa discografica, i promoter... se fai parte di un gruppo vuoi che la tua musica suoni al meglio e quindi vuoi qualcuno che sia di qualità. Una band non pensa alla pubblicità.
Fai una selezione naturale dei gruppi che ti chiamano? Come funziona?
Se mi chiamano dico di sì. Non sono molto selettivo.
Cosa ti piace nell’essere musicista e, invece, cosa apprezzi del tuo lavoro da fonico?
Ovviamente facendo musica puoi essere molto creativo. Puoi esprimerti, che è un bisogno dell'uomo. Essere un musicista quindi è più creativo. Quello del fonico invece è un servizio che offri agli altri. Sono utile agli altri e quando lavoro ad un disco e creo qualcosa che piace al gruppo mi godo la loro soddisfazione. Se sono felici e soddisfatti mi sento partecipe di questo. Magari è un'esagerazione ma è come guardare dei bambini che aprono i regali di Natale. Non puoi non essere felice.
Tra te e Bob (Weston) c’è una complicità sotto ogni punto di vista; ci sono momenti in cui vi scontrate? Intendo sia all’interno degli Shellac che agli Electrical Audio…se sì, su che cosa?
A volte siamo in disaccordo ma non ci scontriamo mai. Il disaccordo nasce dal fatto che entrambi abbiamo posizioni molto razionali. Non per cose emotive, perché uno dei due è pazzo o fatto o ha litigato con la ragazza e quindi ce l'ha col mondo.
Ma c'è una parte irrazionale?
C'è una parte emotiva ma ci prendiamo sul serio. Se Bob dice una cosa non la scarto subito e penso qualcosa contro ma ascolto e provo a capirla.
E insieme a Todd, che tipo di legame avete instaurato in questi anni tale per cui continuate a suonare dopo tanto tempo?
Ci sono varie ragioni. La più importante è che per noi la band non è un lavoro. Non abbiamo responsabilità verso il gruppo, suoniamo semplicemente per amore, un hobby che ci appassiona. Per noi il gruppo è una cosa che facciamo e che ci dà soddisfazioni. Se dovessi farlo tutti i giorni e andare in tour per nove mesi all'anno sono sicuro che lo odierei. Non è possibile fare una cosa così senza sentirsi risentiti.
State provando nuove canzoni per un nuovo album?
Abbiamo cinque nuove canzoni, non sono abbastanza per un disco e non so cosa ci faremo.
Credi che ci sia una vostra canzone con la quale la gente vi identifica subito?
No, non una in particolare. La gente ci chiede sempre cose diverse.
Pensi che una band abbia qualche dovere verso il suo pubblico?
Non più di un obbligo verso l'umanità. La gente dovrebbe essere decente con gli altri, deve avere rispetto, essere amichevole e questo vale anche per il pubblico. Preferiamo suonare in posti comodi, dove il biglietto non costi troppo, dove il pubblico venga trattato bene dagli organizzatori. Cose normali. Non responsabilità musicali.
Ti ho sempre visto come un onesto provocatore…che ne dici? La provocazione serve ancora a qualcosa a tuo avviso?
Il concetto di provocazione presuppone che io conosca quale sarà la reazione e voglia provocarla. Di base non penso mai a quale sarà la reazione. Dico quello che dico, non me ne frega niente della reazione.
Credi ci sarà un momento in cui smetterai di suonare e registrare e ti dedicherai ad altro?
Se mi fermerò lo farò e basta. Non inizierò niente di nuovo. Se mi fermerò mi siederò su una sedia accanto al fuoco, accarezzerò il gatto, uscirò con mia moglie. Smetterò e basta.
Non hai un sogno nel cassetto?
Sì, ma sono solo fantasie. Mi piacerebbe aprire un ristorantino. Uno semplice con quattro tavoli.
Un ristorante italiano magari?
Forse. Ma non succederà. Mi piacerebbe avere una casa in collina con un bel giardino e il caminetto. Ma la vedo dura e non me ne preoccupo.
Com’è la situazione musicale in America? C’è fermento da qualche parte come negli anni ottanta o è diventato tutto sterile?
Vedi, internet ha reso le case discografiche molto meno importanti e così anche la scena locale è meno rilevante. La musica ha perso quel suo profumo locale,è tutto molto più globalizzato. Ma ci sono ancora un sacco di band. Ogni natale c'è un ragazzino che riceve una chitarra e mette su un gruppetto.
C’è un gruppo che ti ha emozionato di recente?
Sì, i Grandfather di New York. Ho registrato con loro e mi sono sembrati fighi. Fanno una specie di prog-rock molto semplice e carino. Ci sono parecchi gruppi. Ho finito di registrare con una band inglese, i Let's Wrestle. Sono molto umoristici ma amichevoli e divertenti.
Nel 1994 avevi dichiarato a un giornale italiano che:” la prossima rivoluzione sarà estetica, non politica o sociale. La gente si stancherà di ascoltare sempre le stesse cose, di qualità sempre peggiore, e questo manderà onde d'urto in tutta l'industria”.
E poi hai aggiunto:” Pearl Jam e Smashing Pumpkins sono tutti gruppi che hanno le ore contate. E' musica senza futuro, non importa quanti milioni di dollari le case discografiche siano disposte a spendere per promuoverla”.
Non ricordo assolutamente di averlo detto. Comunque...
Parole forti ma vere, quindi ti chiedo un’ulteriore previsione del futuro musicale, visto che nel 1994 ci avevi azzeccato…che succederà?
Non posso fare previsioni, ora. Per un sacco di tempo l'industria della musica è stata l'industria discografica, produzione e vendita di dischi. Adesso no, è finita. Non si vendono più cd. Resisterà qualche negozietto che venderà i vinili a gente come me, gente che dalla musica vuole un'esperienza hi-fi. Ma la vendita fisica dei dischi sarà una piccola parte dell'industria che diventerà sempre più una cosa di tour, live e il rapporto diretto della band con il pubblico, attraverso siti web o altre cose...